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Giurisprudenza
CIVILE
Corte di Cassazione

Ha diritto al permesso giornaliero per ciascun figlio il lavoratore genitore di più minori, di età inferiore ai tre anni, con handicap. (Altalex, 8 aprile 2010. Nota di Manuela Rinaldi)

10.05.2010
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Ha diritto al permesso giornaliero per ciascun figlio il lavoratore genitore di più minori, di età inferiore ai tre anni, con handicap. (Altalex, 8 aprile 2010. Nota di Manuela Rinaldi)

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione con Sentenza n. 4623/2010, con cui, in tema di agevolazioni per i lavoratori genitori di minori con “handicap in situazione di gravità” di età inferiore ai tre anni e con riferimento al nucleo familiare composto da più minori con tali requisiti, è stato riconosciuto alla lavoratrice madre, o al lavoratore padre, il diritto a fruire di due ore di permesso giornaliero retribuito per ciascun minore.  [1]


La normativa di riferimento

Ai sensi dell’articolo 33, comma 2 della Legge n. 104/1992 i genitori, anche adottivi o affidatari, di bambini disabili in condizione di gravità possono chiedere ai rispettivi datori di lavoro di usufruire, in alternativa al prolungamento del periodo di astensione facoltativa, di permessi orari retribuiti rapportati all’orario giornaliero.

In particolare, fino al compimento di 3 anni di età del bambino disabile spettano:
- 2 ore al giorno, in caso di orario lavorativo pari o superiore a 6 ore;
- 1 ora al giorno, in caso di orario lavorativo inferiore a 6 ore. Tale disposizione è stata recepita nell’articolo 42, comma 1, del Decreto Legislativo n. 151/2001 (c.d. “Testo unico della maternità e della paternità”), ai sensi del quale: “Fino al compimento del terzo anno di vita del bambino con handicap in situazione di gravità e in alternativa al prolungamento del periodo di congedo parentale, si applica l’art. 33, comma 2, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, relativo alle due ore di riposo giornaliero retribuito.”

Per tale permesso (che il citato articolo 42 definisce "riposo giornaliero retribuito") è dovuta un’indennità, a carico INPS, pari all’intero ammontare della retribuzione, che viene anticipata dal datore di lavoro e portata a conguaglio con i contributivi dovuti all’Istituto previdenziale.

La decisione della Corte

Il lavoratore nei primi due gradi di giudizio si era senza visto respingere le sue richieste motivando il rigetto sia sulla mancanza di una normativa che contemplasse tali permessi (la normativa previdenziale considera l’erogazione di doppi permessi solo in caso di allattamento di parti plurimi), e sia perché usufruendo di doppi permessi il lavoratore non sarebbe stato in grado di garantire una adeguata prestazione dal punto di vista lavorativo.

La Corte Suprema di Cassazione ha invece ribaltato la sentenza sostenendo che nei vari gradi di giudizio era stata smarrita la ragione principale che ha dato luogo alla nascita del permessi retribuiti previsti dalla legge n. 104/92 ossia l’assistenza alle persone colpite da grave handicap e di agevolarne il loro inserimento nella società.

La decisione presa dai giudici di legittimità, anzitutto, si basa sulla considerazione che l’agevolazione prevista dalla legge è diretta non tanto a garantire la presenza del lavoratore nel proprio nucleo familiare, quanto ad evitare che il bambino handicappato resti privo di assistenza e che, di conseguenza, possa risultare compromessa la sua tutela psico-fisica e la sua integrazione nella famiglia e nella collettività. Il destinatario della tutela, pertanto, non è il nucleo familiare in sé, bensì la persona portatrice di handicap.

Nella sentenza in commento si legge testualmente “Per l’ipotesi di lavoratori che assistono figli, "con handicap in situazione di gravità", il Legislatore, in ragione della concomitanza degli implicati valori di rilievo-costituzionale (quali l’esigenza del bambino di ricevere un’assistenza continua e adeguata dai propri genitori, l’interesse del datore di lavoro a ricevere la prestazione e la compatibilità economica delle prestazioni assistenziali con la generale funzione di assicurazione sociale svolta dall’Istituto), ha definito con esattezza l’agevolazione spettante prevedendo il diritto della madre-lavoratrice, o del padre lavoratore, a fruire, in alternativa al prolungamento del congedo parentale, di permessi giornalieri di due ore per il bambino di età sino a tre anni. In tal modo, la norma in esame esprime una precisa scelta di valori che è collegata alla primaria necessità di assistenza secondo uno standard orario all’interno della giornata di lavoro commisurato alla presenza di un bambino disabile e che si realizza con la previsione di un più esteso arco temporale di tutela, in caso di opzione per la non sospensione del rapporto lavorativo, rispetto all’ipotesi del bambino senza handicap; scelta che risulterebbe evidentemente vanificata ove si escludesse che, in ipotesi di pluralità di bambini con handicap, spetta un permesso giornaliero di due ore per ciascun bambino, che si configurerebbe in tal caso una evidente alterazione rispetto al predetto parametro (due ore al giorno per ogni bambino) e, peraltro, si determinerebbe una irragionevole disparità, in senso del tutto opposto alla intentio legis, rispetto all’ipotesi di pluralità di bambini non svantaggiati, per i quali viene espressamente prevista dall’art. 41 del t.u. la moltiplicazione dei periodi di riposo giornaliero (si che i genitori di due bambini senza handicap fruirebbero di quattro ore al giorno, mentre per due bambini con handicap spetterebbero solo due ore).

D’altra parte, il cumulo di permessi è consentito — come riconosce lo stesso Istituto - fra permessi giornalieri (per bambini "con handicap grave" sino a tre anni di età) e permessi mensili di tre giorni (oltre tale età) e, dunque, a maggior ragione esso si giustifica in relazione alla necessità di assistere durante la stessa giornata due bambini con disabilita, entrambi di età inferiore a tre anni”.


Per l’ipotesi di lavoratori [2] che assistono figli "con handicap in situazione di gravità", il Legislatore, in ragione della concomitanza degli implicati valori di rilievo costituzionale (quali l’esigenza del bambino di ricevere un’assistenza continua e adeguata dai propri genitori, l’interesse del datore di lavoro a ricevere la prestazione e la compatibilità economica delle prestazioni assistenziali con la generale funzione di assicurazione sociale svolta dall’Istituto), ha definito con esattezza l’agevolazione spettante prevedendo il diritto della madre-lavoratrice, o del padre-lavoratore, a fruire, in alternativa al prolungamento del congedo parentale, di permessi giornalieri di due ore per il bambino di età sino a tre anni.

In tal modo, la norma in esame esprime una precisa scelta di valori che è collegata alla primaria necessità di assistenza secondo uno "standard" orario - all’interno della giornata di lavoro - commisurato alla presenza di un bambino disabile e che si realizza con la previsione di un più esteso arco temporale di tutela, in caso di opzione per la non sospensione del rapporto lavorativo, rispetto all’ipotesi del bambino senza handicap; scelta che risulterebbe evidentemente vanificata ove si escludesse che, in ipotesi di pluralità di bambini con handicap, spetta un permesso giornaliero di due ore per ciascun bambino, che si configurerebbe in tal caso una evidente alterazione rispetto al predetto parametro (due ore al giorno per ogni bambino).


SEZIONE LAVORO Sentenza 25 febbraio 2010, n. 4623

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